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“Mi chiamo Valentina e credo nell'amore”

Qualche giorno fa ho condiviso un video sulla mia pagina facebook, tratto dallo spettacolo di Paola Cortellesi, che mi ha colpita molto: così mi andava di vederlo insieme a voi, fotogramma per fotogramma e rifletterci su.

La protagonista femminile ha 10 anni, è “caruccia” e “a scuola va tutta aggiustata”. E, cosa fondamentale, “crede nell’amore”. Si presenta così Valentina, con la sua voce squillante, gioiosa e sicura. Dal suo tono di voce e da come appare possiamo pensare che abbia vissuto in una famiglia affettivamente valida, che le favole a lei raccontate parlassero di storie d'amore, che fin dalla scuola materna, quando ha scoperto il diverso da sé, abbia provato quelle giocose simpatie e attrazioni istintive per i maschietti; e che la mamma curi molto la sua immagine di bambina “caruccia”.


Possiamo intuire che Valentina si trovi vicina alla fase della pubertà, in cui sopraggiunge un vistoso cambiamento fisico che implica un cambiamento psichico ancora più destabilizzante. Infatti, questo comporta la separazione dal mondo infantile (candy candy) e dalle sue certezze, l'esigenza di inventarsi un modo nuovo di rapportarsi agli altri attraversando un’alternanza di emozioni, dalla sorpresa, all’imbarazzo, ma anche curiosità o timidezza. Ricordiamoci che il cambiamento biologico delicato e inevitabile che caratterizza questa fase è la comparsa della prima mestruazione. In genere, la figura materna rimane, ancora, quella preposta ad affrontare “l'argomento”, da lei stessa vissuto in modo ambivalente: con ansia, pudore misto a tremante contentezza e fortissimo imbarazzo che si accompagna al desiderio inconscio di far rimanere la proprio figlia una bimba. Non ci allontaniamo troppo dalla realtà, addirittura, se ricordiamo che è usanza fare gli auguri alla ragazza alla comparsa della prima mestruazione perché è diventata “signorina”, dandole il benvenuto all'inizio del percorso che la condurrà alla sua vera identità (funzionale) che sarà, prima di tutto, quella di essere moglie e madre. In questo clima, talvolta, la ragazza si sente sola e con poche e disorientanti informazioni.


Ma torniamo al video: insieme a Valentina compare Giorgio, 12 anni, così timido che pronuncia il suo nome balbettando. Giorgio ci dice subito di essere nella fase puberale, ha “l'ormone a palla”, e deve affrontare la sfida dell' accettazione del corpo che cambia (“puzzo così tanto che nemmeno il cane mi sta vicino”) unita all'ansia e ai conflitti che questa nuova immagine genera, insieme alla paura del giudizio femminile (infatti lo teme così tanto che alle donne nemmeno ci vuole pensare).

Giorgio, così come i suoi coetanei, si trova ad affrontare questa fase delicata dovendo fare i conti con le aspettative sociali e culturali che gli chiedono di adeguarsi all'idea di mascolinità e virilità: forte, duro, che non piange, l’uomo non deve mostrare fragilità e debolezze. Infatti, gioca con i suoi amici ai cowboy, indiani, con le pistole, a rincorrersi e picchiarsi. Il conformarsi a questo ruolo sociale è un gioco pericoloso, rinforzato da chi lo dovrebbe proteggere e far crescere bene che invece lo picchia a sua volta. Il padre, pater familias, “educa” (termine che presuppone il pensiero che il bambino sia un essere che nasce sbagliato e va raddrizzato) il figlio trattandolo come un essere inferiore, ferendolo in modo grave nella sua immagine interna (infatti è timido e insicuro) e nella dignità di essere umano. Giorgio, annullato, rischia di far sparire i suoi affetti belli e di perdere la sua naturale sensibilità e spontaneità.


E così ci sono entrambi: da un lato Valentina, bambolina tutta caruccia, immagine della bimba brava bella e buona, in attesa del principe azzurro e dall'altro Giorgio, bimbo che gioca a diventare forte, duro e combattente.


Poi arrivano i sedici anni, e ci sono i primi tentativi di innamoramento, Valentina e Giorgio si incontrano, si notano, si annusano e si piacciono. Entrambi si trovano nella fase adolescenziale, in cui è necessario che il cambiamento fisico coincida con il raggiungimento di una nuova immagine di sé, e quindi l'accettazione profonda della propria identità sessuale, condizione necessaria per vivere bene questa fase e poter vivere delle belle storie d'amore. Tuttavia, accade che la sintonia tra immagine interna e immagine esterna non avvenga e insorgono le insoddisfazioni, l'imbarazzo, il disagio con cui viene vissuto il proprio corpo. In questa fase è facile cadere preda dei martellanti stereotipi dei canoni estetici a tal punto che i rapporti si riducono più al gioco della conquista fine a se stessa che al coinvolgimento affettivo. Giorgio con la sua dose abbondante di profumo ci racconta proprio della trappola culturale in cui è caduto; addirittura verbalizza che ha perso la sua spontaneità e quindi può pensare di rapportarsi ad una donna calandosi e recitando il ruolo dell'uomo “che non deve chiedere mai” anziché inventare il rapporto con Valentina, a tal punto che chiede a lei di fare anche la sua parte (ti devo chiedere io di uscì?). Ma Valentina e Giorgio si fidanzano: lui delega a lei la conduzione della relazione. A questo punto Valentina fa due errori di valutazione, o meglio di svalutazione. Prima di tutto si accorge della timidezza, introversione di Giorgio, della sua incapacità di fare rapporto, tuttavia la sottovaluta, non pensa che possa essere pericolosa, molto probabilmente perché anche lei è vittima dei condizionamenti culturali e quindi crede che sia normale che il maschio sia così poco sensibile e incapace di entrare in contatto con i suoi vissuti e di saperli esprimere. D'altronde i rapporti sessuali sono tutti incentrati da parte di lui, erronea convinzione ancora largamente diffusa nella società, sulla virilità legata alle doti e come performance fisica. Ci si dimentica di come il rapporto sessuale non sia un esercizio di ginnastica né una gara: questa è una visione superficiale e piatta. La virilità sta nella certezza di se stessi, nella sicurezza nel rapporto, un interesse e una sensibilità profonda per la donna. Fare l'amore è la massima fusione fisica e psichica tra due esseri umani. In secondo luogo sottovaluta anche i segnali di lui, talmente lontano dal fare rapporto con lei e solipsistico, tutto concentrato su di sé che le regala per per il diciottesimo, un abbonamento allo stadio, al posto delle tanto desiderate rose o gioielli, più vicini alle aspettative femminili. Così lontano dal sintonizzarsi con Valentina e lei un po’ si dispiace, un po’ lo giustifica.


Come un copione predeterminato, già sentito e che si ripete all'infinito, Giorgio chiede la mano di Valentina. Lei, tutta innamorata dell'amore, è raggiante, inizia a fantasticare e a immaginarsi sposa. Finalmente si realizza il momento tanto atteso, alimentato nel corso di tutto lo sviluppo, dall'infanzia alla pubertà fino all'adolescenza e in età adulta dai condizionamenti culturali che vedono la donna incastrata in un'immagine di inferiorità che può essere falsamente salvata da un uomo ricco e potente che continuerà a mantenerla inferiore ( rievoca l’immagine di Julia Roberts, infatti). Finalmente il suo status di signorina potrà trasformarsi in signora (altra rimanenza solo culturale, ricordo che è stato abolito!) Al contrario per Giorgio, sempre più calato nel ruolo di pater familias, la decisione di sposarla è un passo inevitabile e obbligatorio.


Entrambi si avviano verso una vita di coppia piatta e triste: vige la rigida divisione dei ruoli, secondo cui a lui spetta il compito di mantenere la famiglia e a lei i compiti domestici. Lui si aspetta che lei anticipi i suoi bisogni e lo serva, in quanto padrone di casa e dei suoi abitanti. Talmente calato nel ruolo di possessore, che diventa sempre più geloso di lei e impazzisce quando Valentina inizia a manifestare la sua indipendenza, autonomia, quando esprime il desiderio di voler lavorare (queste velleità!). Per chi concepisce in tal modo il rapporto la donna non è un essere umano libero! Mi piacerebbe ricordare la carta dei diritti e il diritto all’uguaglianza, alla libertà di espressione, ma è probabile che lo faremo in un’altra sede. Torniamo a Valentina, che ha l‘aggravante di essere sposa, quindi serva, non può anteporre se stessa e i suoi desideri al marito e alla casa, così come “è giusto fare”. E dato che Valentina è cresciuta in questa cultura maschilista, crede che sia giusto così, e se è vero che le botte fanno male, è vero anche che si sente in colpa, quindi lascia il lavoro, perché “lui si dispiace”, finendo per accettare questa sua condizione. I doveri di una sposa sono più importanti dell’amare se stessi. E così, in questa cornice familiare, le botte e la violenza psicologica aumentano sempre di più. Lei è una proprietà di lui, che decide il trucco, l'abbigliamento. A Valentina non viene riconosciuta nemmeno la sua identità, insieme alla sua libertà di movimento, di parola, è annullata al punto da non ricordare più quale sia il suo Nome!


Ma non per sempre. Valentina capisce che questo non è amore, prova a ribellarsi e a uscire dalla trappola manipolativa e lo denuncia, anche se terrorizzata si appella alla sua affettività, si fa aiutare e scappa perché crede nell'amore, quello Vero!

Ed è significativo, in questa scena finale, Giorgio che si affanna alla ricerca di Valentina, che non trova, quasi incredulo che quella persona si sia ribellata alla sua violenza e che gli sia “sfuggita di mano”.


Ho voluto condividere con voi questa “visione lenta” del video, per tre fondamentali aspetti: il primo perché è significativo il ruolo di lui inteso non solo come fautore di violenza ma anche come vittima -a sua volta- di violenza. L’uomo è stato esso stesso vittima di un sistema culturale che l’ha ingabbiato nella prigione della razionalità, pragmaticità e predominio, facendogli perdere la sua sensibilità.

L’uomo che diventa violento è una persona che si è ammalata, che ha perso progressivamente la sua sensibilità all’interno di rapporti interumani deludenti e anaffettivi (come il padre di Giorgio che lo picchiava). L’uomo aggressivo verbalmente, psicologicamente e fisicamente non ha un carattere “particolare” (aggettivo col quale in genere si tende a giustificarlo) ma sta male e comunica il suo malessere proprio con la sua violenza, perciò va ascoltato e aiutato. In Italia sta crescendo questa sensibilità, infatti si stanno sviluppando diversi centri per aiutare gli uomini che sono diventati violenti (attenzione: diventati, perché non sono nati così) a guarire e a poter sviluppare la capacità di fare rapporti sani.

Il secondo aspetto che viene alla luce nel video è che la cultura in cui cresciamo ci condiziona nell’età adulta e nella costruzione dei nostri rapporti interumani, perciò abbiamo bisogno di scardinare questi “saperi” fornendo ai bambini e ai ragazzi una visione sana del maschio e della femmina, non distorta né deformata. Riappropriamoci della nostra identità superando i condizionamenti che ancora ci influenzano e ci limitano e andiamo verso la libertà di esprimerci secondo la naturale bellezza. Andiamo a fondo nella vita, nelle conoscenze, non ci fermiamo a quello che ci viene raccontato dandolo per vero a prescindere. Tutto ciò che ha a che fare con la colpa, vergogna, punizione, castrazione, inadeguatezza, dipendenza, sottomissione, sacrificio ecc.. fanno male: stiamone alla larga!

E l’ultimo motivo, non meno importante, che mi ha spinto a scegliere questo video è perché la protagonista è una donna che sceglie di amare se stessa fino in fondo, svegliandosi dal torpore della violenza e scegliendo la vita, liberandosi da quei condizionamenti sopra citati e credendo in se stessa e nel suo sentire.


 

Per vedere il video puoi andare nella mia pagina facebook: https://www.facebook.com/psicologaclarameopisa/

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